Introduzione: Il diabete mellito (DM) è stato identificato come un importante fattore di rischio di mortalità in occasione di precedenti epidemie virali (H1N1, SARS, MERS), e una malattia molto prevalente nei deceduti SARS-CoV2+ (dati ISS). Tuttavia, allo stato attuale, i dati su COVID-19 nei pazienti con DM sono limitati e in parte controversi. Scopo: censire e delineare le caratteristiche clinico-metaboliche della popolazione diabetica colpita da COVID-19. Setting, partecipanti, disegno: ospedali e centri antidiabete (CAD) dell’ULSS 6 Euganea, pazienti diabetici COVID-19 con almeno 1 accesso in un CAD negli ultimi 3 anni, e tutti i diabetici COVID-19 ricoverati. È uno studio trasversale, nell’arco temporale febbraio 2020-febbraio 2021. Materiali e metodi: Raccolta dati di prevalenza [database Dipartimento di prevenzione, SDO] e di eventuali predittori (età, durata di malattia diabetica, compenso metabolico, terapie ipoglicemizzante ed event. antipertensiva pre-ricovero, copatologie; glicemie, Ddimero ed eventuali terapie insulinica e steroidea durante il ricovero) [cartelle cliniche territoriali e ospedaliere]. Risultati: su un totale di 945.000 abitanti sono stati registrati 4009 casi (6,52% dei COVID+ tot) e di questi 3625 erano in quarantena (DMQ) e 384 ospedalizzati (DMH). I pazienti DMH, a parità di HbA1c, avevano un maggior durata della malattia diabetica ed età, più ipertensione e utilizzo di farmaci RAAS-i. Per quanto riguarda le terapie antidiabetiche pre-infezione: più insulina e sulfaniluree nei DMH, maggior uso di GLP1-Ra, metformina e SGLT2i nei DMQ. Nel gruppo DMH la durata del ricovero, il D-dimero, i valori di glicemia /d’ingresso/pre-prandiale più alta/media/ e la variabilità glicemica sono risultati correlati ad outcome avverso (accesso in terapia intensiva e/o decesso). Conclusioni: A parità di compenso metabolico pre-infezione, nei DMH vi era stato un uso prevalente di insulina e/o sulfaniluree in cronico. Nell’analisi interna DMH la variabilità glicemica indotta dalle terapie insulinica e steroidea nei DMH potrebbe aver agito da trigger negativo soprattutto nei pazienti con durata di ricovero più lunga. Infine, questi dati potrebbero riaccendere la discussione sul possibile ruolo prognostico della sovra-espressione dei ACE2R, indotta dai RAAS-i e dimostrata solo in vitro e nell’animale.