La catepsina K come marker precoce di danno d’organo cardiovascolare nel diabete di tipo 2

Numerose evidenze dimostrano il coinvolgimento delle catepsine B, C, K, L e S, e del loro inibitore endogeno, la cistatina C, nella patogenesi di diverse malattie cardiovascolari (CVD). In particolare, elevati livelli di Catepsina K (CatK) sono stati riscontrati nelle lesioni aterosclerotiche e l’ablazione di CatK in modelli animali allevia l’iperglicemia indotta dal diabete, le alterazioni del metabolismo energetico e le anomalie funzionali e strutturali cardiache. Tuttavia, il coinvolgimento di CatK nelle complicanze cardiovascolari associate al diabete non è ancora stato chiarito. A tale scopo, abbiamo analizzato i livelli sierici di CatK in una coorte di 536 soggetti ben caratterizzati, dei quali 134 con una risposta normale al carico di glucosio, 134 prediabetici, 268 diabetici, con il 30% di prevalenza di CVD. Abbiamo stabilito il danno d’organo misurando lo spessore dell’intima-media carotidea (c-IMT) e l’indice di massa ventricolare sinistra (IMVS). La nostra analisi esplorativa condotta su 103 soggetti non diabetici ha confermato che la CatK è significativamente aumentata quando i valori di HbA1c (β=0.296, p=0.031), glicemia 2h dopo l’OGTT (β =0.197, p=0.046), e indice TYG (β =0.225, p=0.023) sono elevati, così come quando la tolleranza glucidica peggiora (β =0.19, p=0.027). Lo studio della correlazione tra CatK e c-IMT ha confermato una associazione positiva, conservata dopo correzione per età, sesso e BMI (r=0.307, p=0.002). Abbiamo anche osservato una significativa associazione tra CatK ed IMVS dopo correzione per età, sesso e BMI (r=0.358, p=0.0001). In conclusione, per la prima volta, abbiamo evidenziato il ruolo di CatK come marker precoce di rischio cardiovascolare. I nostri dati suggeriscono che il dosaggio dei livelli sierici di CatK nelle fasi preliminari della diagnostica routinaria potrebbe essere una metodica non invasiva ed economica molto utile per la precoce identificazione di pazienti con maggior rischio e/o rilevare la presenza di danno d’organo subclinico in soggetti ad aumentato rischio di complicanze cardiovascolari.