La componente genetica del Diabete di Tipo 2 (DT2) coinvolge principalmente la funzione delle beta-cellule. Studi di associazione su tutto il genoma (GWAS) hanno identificato molti loci associati al DT2. Però gran parte dell’ereditarietà osservata rimane inspiegata. Tale ereditarietà mancante potrebbe essere dovuta a molteplici varianti infrequenti. Estremi di un fenotipo risultano arricchiti in varianti funzionali e causali. Perciò un potente approccio per identificarle è il risequenziamento di geni canditati in estremi di un tratto fenotipico. Scopo di questo lavoro è identificare varianti infrequenti in loci associati al DT2 da GWAS, alla ricerca di difetti primari delle beta-cellule nella secrezione insulinica, mediante 3 fasi: Fase 1, sequenziamento di 9 geni candidati (CDKAL1, ARAP1, JAZF1, IGF2BP2, KCNQ1, ADCY5, ADAMTS9, NAT2 e GCK) in 383 individui selezionati dagli estremi del Disposition Index (DI); Fase 2, studio di replicazione in una coorte ulteriore (n~500); Fase 3 validazione delle associazioni, tramite genotipizzazione, in un gruppo ampio ed indipendente (n~3500).
In tutti i soggetti (N=2200) sono state misurate, mediante OGTT, secrezione e resistenza insulinica, compresi gli indici IGI30 (insulinogenic), ISI (insulin-sensitivity) e DI (IGI30xISI). Il campione esplorativo è stato analizzato mediante sequenziamento di nuova generazione (NGS)
Fase 1: di 1360 varianti totali, 434 risultano funzionali: non-sinonime, stop o splicing e distribuite in uno solo degli estremi. È stato osservato un arricchimento, sia in alleli che in portatori, nel quintile inferiore del DI, quello associato a difetti della secrezione insulinica. Collassando le varianti collettivamente all’interno dei singoli geni, le analisi indicano ADCY5 come il gene più associato al quintile inferiore del DI (OR:5.8 95% CI [1.107-31.031] p:0.0375). Stiamo ora procedendo alla fase 2. Tali dati rafforzano il ruolo della secrezione insulinica nello sviluppo del DT2. Inoltre si osserva un accumulo di varianti infrequenti nei soggetti con difetti della secrezione insulinica. Tali dati supportano il “modello omingenico” proposto da Boyle et al. per il quale un accumulo di varianti è necessario per sviluppare la malattia, in aggiunta ai fattori ambientali.