Il diabete mellito (DM) è una delle principali complicanze della sindrome di Cushing, la sua prevalenza varia tra il 20 e il 50% nei pazienti affetti da tale sindrome. Il termine malattia di Cushing identifica, nell’ambito della sindrome, l’ipercortisolismo causato da adenoma ipofisario ACTH secernente. In considerazione dei meccanismi patologici alla base del diabete mellito nei pazienti affetti da malattia di Cushing, un approccio terapeutico che preveda, fin dal momento del riconoscimento dell’ipercortisolismo, una terapia di associazione con metformina e DPP-4 inibitore potrebbe rappresentare una valida strategia terapeutica da adottare per raggiungere e mantenere il target glicemico. I pazienti affetti da malattia di Cushing, diagnosticati nell’anno 2016, e affetti da diabete mellito, in assenza di terapia diabetologica o in terapia ipoglicemizzante orale, sono stati trattati, fin dal momento della conferma diagnostica di adenoma ACTH secernente, con terapia di associazione metformina e linagliptin. I dati raccolti inerenti 4 pazienti hanno evidenziato una storia clinica differente, sia per epoca di diagnosi di DM rispetto alla diagnosi di malattia di Cushing, sia per tipo di adenoma ipofisario e presentazione clinica che per terapia farmacologica diabetologica iniziale. Tuttavia, indipendetemente dal tipo di terapia ipoglicemizzante orale antecedente, impostando la terapia di associazione metformina/linagliptin al medesimo dosaggio, si è ottenuto in tutti i pazienti una riduzione dell’emoglobina glicata prima ancora della correzione dell’ipercortisolismo endogeno. Inoltre, a distanza di 6 mesi dalla correzione dell’ipercortisolismo, mantenendo la terapia ipoglicemizzante impostata, tutti i pazienti hanno raggiunto il target glicemico di HbA1c <7% e lo hanno mantenuto e/o migliorato a distanza di 1 anno. Pertanto, qualora venga riconosciuta l’eziologia del DM secondaria a malattia di Cushing, l’utilizzo dell’associazione metformina/DPP-4 inibitore sembrerebbe un’opzione terapeutica da impiegare il più precocemente possibile. Studi su più ampie casistiche sono tuttavia necessari per confermare il ruolo di questa associazione precoce nel DM secondario ad ipercortisolismo endogeno.