Annalisa Natalicchio, Giuseppina Biondi, Francesco Giorgino
Dipartimento dell’Emergenza e dei Trapianti di Organi, Sezione di Medicina Interna, Endocrinologia,
Andrologia e Malattie Metaboliche Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
INTRODUZIONE
La dimostrazione dell’esistenza di una stretta connessione fra l’infiammazione e il diabete risale al 1876, anno in cui Ebstein dimostrò che la somministrazione di alte dosi di salicilato di sodio era in grado di ridurre la glicosuria in individui diabetici (1-2). Analogamente, pazienti diabetici che assumevano alte dosi di salicilati per il trattamento dell’artrite mostravano un miglioramento del profilo metabolico (3). Ad oggi è noto che l’infiammazione cronica contribuisce alla patogenesi del diabete di tipo 2 ed è, a sua volta, intensificata dall’iperglicemia, caratterizzante il diabete, contribuendo all’insorgenza delle sue complicanze. A sostegno di questo assunto, elevati livelli di biomarkers infiammatori correlano con l’incidenza e la prevalenza del diabete, così come con l’insorgenza delle complicanze diabetiche, in particolare, delle malattie cardiovascolari.
Il meccanismo patogenetico alla base della relazione fra infiammazione e diabete è riconducibile all’aumentata produzione e secrezione di citochine proinfiammatorie e all’aumento dei livelli di acidi grassi liberi (FFA) che determinano danno a molteplici organi e tessuti, fra cui morte delle beta-cellule pancreatiche e insulino-resistenza a livello dei tessuti insulino-sensibili, che rappresentano le principali alterazioni fisiopatologiche implicate nella patogenesi del diabete mellito di tipo 2 (DMT2).
Il comune fattore denominatore è senza dubbio l’obesità caratterizzata da una infiammazione di basso grado del tessuto adiposo e di altri organi insulino-sensibili che favorisce l’insorgenza del diabete.
Oltre all’obesità, esistono anche altri fattori predisponenti al diabete, in virtù della loro capacità di attivare vie infiammatorie, che verranno analizzati dettagliatamente in questa rassegna.
Un grande interesse è stato rivolto al ruolo dei vari markers infiammatori nella stratificazione del rischio per il diabete e/o le sue complicanze. In realtà, pur esistendo dati contrastanti, la maggior parte degli studi suggerisce che la misura dei markers infiammatori aggiunge poco alla stratificazione del rischio, rispetto ai classici fattori di rischio per diabete o malattie cardiovascolari (4-6)anche se l’utilizzo di biomarcatori per la predizione del rischio di eventi macro/microvascolari e di mortalità migliora quando si utilizzano più biomarcatori non correlati fra loro (sommando marcatori di diversi meccanismi di malattia) (7-9).
Lo studio dei meccanismi responsabili della stretta connessione fra infiammazione, diabete e complicanze, ha l’obiettivo di identificare le vie del segnale infiammatorio coinvolte nel danno multiorgano che predispone all’insorgenza del diabete, in modo da attuare opportune strategie terapeutiche che possano prevenire o controllare tali danni. Tuttavia, allo stato attuale, gli interventi per il controllo della infiammazione non sono esaustivi e richiedono una implementazione affinché trovino una loro concreta applicazione clinica.
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