Stefano Del Prato1, Giorgio Sesti2, Riccardo C. Bonadonna3, Enzo Bonora4, Paolo Cavallo Perin5, Agostino Consoli6, Paola Fioretto7, Andrea Giaccari8, Roberto Miccoli1, Giuseppe Penno9, Giuseppe Pugliese10, Anna Solini1
1Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Pisa; 2Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università degli Studi “Magna Græcia”, Catanzaro; 3Divisione di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Parma e Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma; 4Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo, Università e Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona; 5Dipartimento di Scienze Mediche, Università degli Studi di Torino; 6Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università degli Studi di Chieti-Pescara “G. D’Annunzio”; 7Dipartimento di Medicina, Università degli Studi di Padova; 8Divisione di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, Policlinico Gemelli, “Università Cattolica del Sacro Cuore”, Roma; 9Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa; 10Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare, Università “La Sapienza”, Roma
Introduzione
Il diabete mellito tipo 2 è una patologia cronica e progressiva caratterizzata da aumento dei livelli circolanti di glucosio con vari gradi di gravità di malattia in funzione delle concomitanti complicanze micro- e macro-vascolari. La storia naturale del diabete tipo 2 è caratterizzata da una fase iniziale di insulino-resistenza dovuta a vari fattori genetici e ambientali quali sovrappeso/obesità, ridotto esercizio fisico, dieta incongrua, età, ipertensione, dislipidemia. In questa fase, nonostante una funzione ß-cellulare già alterata, le concentrazioni di insulina aumentano nel tentativo di compensare lo stato di insulino-resistenza: con il progredire della malattia la funzione ß-cellulare tende a deteriorarsi sempre di più causando la comparsa di franca iperglicemia. La ricerca farmacologica ha sviluppato farmaci con l’obiettivo di stimolare la funzione delle ß-cellule pancreatiche o di migliorare l’azione dell’insulina (insulino-sensibilizzanti). L’ultima classe di farmaci introdotta nell’armamentario terapeutico del diabete è quella degli inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio 2 (SGLT2), molecole in grado di bloccare il riassorbimento del glucosio inducendo glicosuria, e, quindi, migliorando il compenso glicemico indipendentemente da una azione diretta su ß-cellula e sensibilità insulinica. Se a prima vista potrebbe sembrare che questo approccio non riconosca un razionale fisiopatologico va invece ricordato come la riduzione della glicemia così ottenuta permette di contenere la gluco-tossicità e, quindi, gli effetti negativi che l’iperglicemia cronica esercita sulla secrezione e azione dell’insulina.
Il rene, quindi, grazie agli inibitori del co-trasportatore SGLT2, assume un ruolo e un’importanza diversa nel controllo glicemico. L’efficacia di questi farmaci nel controllo della glicemia, unitamente alla riduzione del peso corporeo e all’effetto sulla pressione arteriosa che si associano a questo trattamento, offrono al diabetologo un’ulteriore opportunità nella gestione del paziente con diabete tipo 2.
Lo scopo di questa rassegna è di fornire un’analisi basata sulle attuali conoscenze sul rene come organo bersaglio della terapia del diabete tipo 2, affrontando una serie di tematiche che spaziano dal ruolo del rene nell’omeostasi glucidica, al razionale dell’uso degli inibitori di SGTL2, alla loro efficacia sul controllo metabolico, ai possibili effetti aggiuntivi “extra renali”, alla tollerabilità e sicurezza del loro impiego e al posizionamento nel quadro delle attuali opzioni terapeutiche del diabete tipo 2.
Stefano Del Prato, Giorgio Sesti
FAD ECM “il Diabete”
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