a cura di Anna Solini1, Agostino Consoli2
1Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Pisa; 2Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università degli Studi di Chieti-Pescara “G. D’Annunzio”
In questo numero, con un approccio che – ancora una volta – non è sterilmente polemico, come forse il titolo della rubrica potrebbe far intendere, bensì integrato e ragionato, Rosalba Giacco ed Ester Vitacolonna analizzano in modo obiettivo ed esauriente il ruolo della terapia medica nutrizionale nel diabete tipo 2. Prendono in considerazione l’efficacia dei diversi regimi dietetici nella prevenzione della malattia e nella induzione del calo ponderale, oltre a discutere, relativamente a queste strategie, gli effetti metabolici e quelli sul profilo infiammatorio, nonché le evidenze che documentano la efficacia di alcune di esse nei riguardi della protezione cardiovascolare. Di particolare attualità, anche per la grande rilevanza mediatica del tema, appaiono le considerazioni sulle diete vegetariane e vegane e sui regimi iperproteici, oggi seguite in modo maniacale, e non sempre con le dovute attenzioni, da molte persone. Uno spazio importante è riservato, ovviamente, alla analisi delle caratteristiche e delle proprietà della dieta Mediterranea.
Le considerazioni finali evidenziano anche la necessità di un approccio combinato che definiremmo “clinico-educativo”, che potrebbe avvalersi con intelligenza e misura anche delle moderne tecnologie di comunicazione. La discussione sottolinea infine come una migliore consapevolezza ed una motivata adesione alle regole che stanno alla base della corretta alimentazione possa consentire al paziente diabetico non solo di mettere in atto una difesa fondamentale contro l’evoluzione della patologia, ma anche di svolgere un ruolo attivo nella gestione della propria malattia, del tutto compatibile anche con i piaceri della buona tavola e, di conseguenza, con una buona qualità della vita. Buona Lettura!
DISCUSSANT Rosalba Giacco1, Ester Vitacolonna2
1Istituto di Scienze dell’Alimentazione, CNR, Avellino;
2Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università degli Studi di Chieti-Pescara “G. D’Annunzio”
Premessa
La Terapia Medica Nutrizionale (TMN) rappresenta un momento essenziale di provata efficacia nella prevenzione e cura del diabete mellito.
La grande maggioranza dei soggetti affetti da diabete di tipo 2 (DM2) è in sovrappeso o obeso: per questi pazienti la perdita di peso, rappresenta l’aspetto prioritario della terapia dietetica.
Esiste, infatti, una correlazione diretta tra Indice di Massa Corporea (IMC) e patologie correlate all’obesità, tra cui il DM2; inoltre, come noto, il sovrappeso e l’obesità peggiorano la sensibilità insulinica ed il controllo del diabete. La distribuzione del grasso di tipo viscerale, con aumento della circonferenza addominale, si associa ad un aumento dell’insulino resistenza. È noto anche, pena l’insuccesso terapeutico, che la TMN debba essere supportata da un adeguato intervento educativo e motivazionale (1).
La riduzione del peso corporeo comporta un miglioramento della glicemia e di tutti i fattori di rischio cardiovascolare (CV) presenti nei pazienti diabetici, in particolare iperlipidemia ed ipertensione arteriosa, ed una notevole riduzione dell’uso di terapie ipoglicemizzanti (2-4). La letteratura ci ha mostrato quanto modifiche “intensive” dello stile di vita, che producano un pur modesto decremento ponderale, siano essenziali per prevenire il DM2 in soggetti ad alto rischio (Impaired Glucose Tolerance, IGT). Nel Finnish Diabetes Prevention Study (FDPS) (2) è stato dimostrato che un intervento che prevedeva sane abitudini alimentari ed esercizio fisico (almeno 30 minuti al giorno di intensità moderata) riduceva del 58% il rischio di DM2 in soggetti con IGT. Nello studio sono stati inclusi 522 soggetti con IGT, in sovrappeso o obesi randomizzati in due gruppi: 1) Gruppo di intervento sottoposto a modifica dello stile di vita individualizzato con 10 visite in due anni; 2) Gruppo di controllo: raccomandazioni senza programmi individualizzati (1 visita/anno). Gli obiettivi del programma nel gruppo di intervento erano: 1) una riduzione ponderale di almeno il 5%; 2) grassi nella dieta non superiori al 30% delle calorie totali; 3) grassi saturi non superiori al 10%; 4) presenza di almeno 15 g di fibre/1000 cal; 5) attività fisica: almeno 30 min al dì (cammino, jogging, nuoto, sci ecc.). La riduzione ponderale media nei due gruppi era rispettivamente: -4,2 Kg nel primo anno nel gruppo di intervento, -3,5 Kg nel secondo anno nel gruppo di intervento, rispetto a -0,8Kg nel primo anno nel gruppo di controllo e a -0,8Kg nel secondo anno nel gruppo di controllo.
Analoghi risultati sono stati ottenuti nel Diabetes Prevention Program (DPP), (5) che ha visto coinvolti 3234 soggetti sovrappeso o obesi con IGT assegnati a tre tipi di trattamento: a) intervento intensivo sullo stile di vita, che si proponeva l’obiettivo di raggiungere e mantenere un decremento ponderale di almeno il 7% rispetto al peso corporeo iniziale con una dieta salutare (analoga a quella utilizzata nel FDPS) ed esercizio fisico di moderata intensità (minimo 150 min a settimana); b) trattamento con metformina; c) placebo. Lo studio dimostrava che l’intervento intensivo sullo stile di vita riduceva l’insorgenza di diabete del 58%, mentre nel gruppo trattato con metformina e informazioni standard la riduzione del rischio era solo del 31%.
Il Nurses’ Health Study (6), condotto per 16 anni in 84.941 infermiere senza diabete né IGT, malattie cardiovascolari o neoplasie all’ingresso dello studio, ha dimostrato che il rischio di sviluppare un DM2 era ridotto del 90% nei soggetti: 1) che mantenevano un BMI <25 Kg/m2; 2) che praticavano attività fisica; 3) che assumevano una alimentazione ad alto contenuto in fibre da cereali, ad alto contenuto in grassi insaturi, a basso contenuto in grassi saturi, a basso contenuto in glicidi. Dati recenti con un follow-up di 26 anni del Nurses’ Health Study (7) hanno dimostrato una stretta correlazione tra consumo di carni rosse e latticini ricchi di acidi grassi saturi e rischio di malattia coronarica; al contrario, un dieta caratterizzata da alto contenuto di cibi come pesce, pollame e nocciole, risultava correlata ad un basso rischio.
Analogamente al FDPS e al DPP lo studio Da Qing (8) aveva coinvolto 577 soggetti con IGT normopeso, sovrappeso o obesi in quattro gruppi: tre di intervento (solo dieta, solo esercizio fisico, dieta + esercizio fisico) e uno di controllo, per studiare l’insorgenza di DM2 in 6 anni. Nei gruppi di intervento, la riduzione del rischio di sviluppare la malattia era risultata pari a 31%, 46% e 42% in relazione ai tre tipi di terapia ed in modo indipendente rispetto all’obesità. La dieta prevedeva l’aumento della verdura, la riduzione di alcool e di carboidrati.
Recenti analisi del FDPS (9) hanno altresì dimostrato che, in maniera indipendente rispetto all’esercizio fisico, nei soggetti che seguivano una dieta a basso contenuto di lipidi ed elevato contenuto di fibre si otteneva un maggior decremento ponderale rispetto a coloro che assumevano una dieta ricca in grassi e povera in fibre. Negli studi FDPS (2) e Da Qing (8) è stato dimostrato che l’effetto protettivo dell’intervento persisteva anche diversi anni dopo la fine dello studio. Si può dire quindi che una dieta ricca in fibre con alimenti a basso Indice Glicemico (IG), povera di lipidi, in particolare acidi grassi saturi, sia efficace nel prevenire il DM2 e nel mantenere a lungo termine gli effetti positivi sul peso corporeo.